La risarcibilità del danno parentale prescinde dalla sussistenza del vincolo di sangue

La Suprema Corte di Cassazione ha ribadito con la sentenza n. 5984 del 06/03/2025 che la risarcibilità del danno parentale prescinde dalla sussistenza del vincolo di sangue.

Il caso in oggetto traeva origine dal decesso di una bambina di quattro anni a seguito di un incidente stradale provocato dall’esclusiva responsabilità di un terzo.

La madre della vittima e il compagno della stessa agivano in giudizio chiedendo il risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, da loro subiti a causa del decesso della piccola. Il Tribunale di Bolzano accoglieva le domande della madre, rigettando invece quelle del compagno, sull’assunto dell’assenza di un rapporto parentale-biologico tra quest’ultimo e la vittima primaria.

Gli attori in primo grado proponevano allora appello di fronte alla Corte d’Appello di Trento, che riformava la sentenza impugnata, liquidando anche in favore del compagno della madre della vittima il risarcimento del danno parentale dallo stesso sofferto, in ragione dello stretto legame affettivo instauratosi tra quest’ultimo e la bambina deceduta.

Il convenuto ricorreva quindi per Cassazione sostenendo la non risarcibilità del danno sofferto, in mancanza di un rapporto familiare di sangue.

Gli Ermellini, al contrario, avallavano quanto già statuito dalla Corte d’Appello di Trento, riconoscendo il risarcimento del danno parentale anche in favore del compagno della madre della vittima, essendo stato provato lo stretto legame affettivo intercorrente tra le vittima primaria e quest’ultimo, che aveva di fatto assunto le vesti del “padre putativo”, in sostituzione di quello biologico assente.

Con questa pronuncia la Suprema Corte ha ribadito il principio ormai consolidato secondo cui “il vincolo di sangue non è un elemento imprescindibile ai fini del riconoscimento del danno da lesione del rapporto parentale, dovendo esso essere riconosciuto in relazione a qualsiasi tipo di rapporto che abbia le caratteristiche di una stabile relazione affettiva, indipendentemente dalla circostanza che il rapporto sia intrattenuto con un parente di sangue o con un soggetto che non sia legato da un vincolo di consanguineità naturale, ma che ha con il danneggiato analoga relazione di affetto, di consuetudine di vita e di abitudini, e che infonda nel danneggiato quel sentimento di protezione e di sicurezza insito nel rapporto padre figlio" (Cassazione civile sez. III, 15.11.2023, n. 31867).

Tale impostazione risponde perfettamente alla necessità di operare un bilanciamento tra l’art. 29 della Costituzione, che pone a fondamento della società naturale la famiglia fondata sul matrimonio, e l’art. 2 della Costituzione, che invece garantisce i diritti inviolabili dell’uomo in qualsiasi tipo di formazione sociale, riconoscendo quindi un valore anche a rapporti interpersonali e familiari non fondati sul matrimonio.

Ciò nonostante, è bene precisare che il danno parentale per la morte di un prossimo congiunto non è in re ipsa, ma deve essere adeguatamente provato. In particolare, non è più considerata essenziale la prova della convivenza con la vittima primaria, mentre è assolutamente necessario dare atto dell’esistenza di un legame affettivo profondo e stabile con la stessa. (cfr. Cassazione civile sez. III, ordinanza n. 24689/2020).

Infine, per quanto attiene alla quantificazione di tale danno, la giurisprudenza di legittimità più recente ha ribadito che la liquidazione deve avvenire secondo criteri equitativi e garantendo un’adeguata personalizzazione dello stesso (cfr. Cassazione civile n. 2957/2025).

dott.ssa Ilaria Rubessi

16-07-2025